Nota biografica

Vito Capone è nato nel 1935 a Roma, dove il padre prestava servizio come istruttore presso

la Legione Allievi Ufficiali dei Carabinieri. Entrambi i genitori erano pugliesi, di Castri di Lecce, a pochi chilometri dal capoluogo salentino.

I continui trasferimenti del padre, per motivi di servizio, lo portano a percorrere l’Italia, prima al Nord, Venezia, Treviso, Scorzé, poi verso il Sud, a S. Giorgio Jonico, a Termoli, a San Severo. Ed è proprio a San Severo che lafamiglia si stabilirà definitivamente dopo che il padre cessa dal servizio attivo.

“Degli anni della prima infanzia ricordo vagamente solo i luoghi in cui ho abitato, gli spazi per il gioco, i volti degli amici, ma soprattutto le atmosfere.

Ricordo più nitidamente gli anni delle ferie di Agosto, passate, dopo viaggi avventurosi, per allora, al paese dei miei genitori.

Un piccolo paese bianco, immerso in una luce abbagliante; la terra rossa e generosa, la gente discreta e gentile, i parenti affettuosi, gli odori delle case: un’atmosfera magica, da sogno. Intensi anche i ricordi degli anni della guerra, vissuti in caserma , a San Severo, e quelli carichi di tensione del dopoguerra. Paure, emozioni per il non facile ruolo istituzionale di mio padre. Dopo l’armistizio, mentre tutti fuggivano per evitare i tedeschi, mio padre rimase al suo posto. Non solo, ma all’arrivo dei tedeschi ci fece affacciare tutti al balcone. Dovevamo dimostrare di non avere paura. Anche se di paura ne avevamo, e tanta.

Ma lui era così, affrontava le situazioni guardando negli occhi la gente. E questo gli meritava il rispetto di tutti. Anche in situazioni difficili, come quelle che caratterizzarono San Severo negli anni delle grandi manifestazioni bracciantili per le terre e l’occupazione.

Quelli son stati avvenimenti che hanno influito sulla mia scelta di campo: gli esclusi, gli emarginati, i lavoratori in lotta per avere un minimo vitale.

E le difficoltà che ho poi conosciuto ben presto anch’io, con la morte di mio padre.

Una cosa sconvolgente. Dovetti interrompere gli studi e darmi da fare. Poi ripresi a studiare privatamente e mi diplomai al Liceo Artistico di Napoli”.

E a Napoli intraprende brillantemente gli studi di architettura; nel 1956 comincia ad avere quiche supplenza negli istituti medi; nel 1962 vince la cattedra di Educazione artistica nella scuola media “Bovio” di Foggia; intanto mette su famiglia e si trasferisce a

Foggia, pur mantenendo sempre uno stretto rapporto con gli amici di San Severo, con i quali collaborerà alla realizzazione di importanti rassegne d’arte.

Disegna, dipinge, si mette in circolazione, con una frenetica attività espositiva, in Italia e all’estero. Interrompe così studi universitari (ma proprio la passione per l’architettura spiega poi nella sua ricerca pittorica e quindi nella sua sperimentazione “oltre la pittura” la centralità dello spazio e della luce) e decide di fare l’artista a tempo pieno.

Nel 1972 passerà all’Accademia di Belle Arti Di Foggia come docente di Tecniche pittoriche (della stessa Accademia è stato Direttore dal 1988 al 1991).

Partita da una ricerca pittorica “portata al limite di una discussione di sentore quasi analitico” (E. Spera) “per liberarsi delle tentazioni scenografiche” (P. Marino) e recuperare uno stile suo, rigorosamente razionale nella scansione dello spazio, dove dilata e defigura le forme, alla fine degli anni Settanta abbandona la pittura per indagare sui materiali, soprattutto la carta, e sulle vibrazioni del “bianco”.

Sono anni in cui partecipa all’esperienza del Laboratorio Artivisive di Foggia, con Accarrino, Chiapperino, De Sandro Salvati, Lella, Pensato, Tretola.

Il riconoscimento della validità di questa sua volta avviene quasi subito, net 1983, con la rassegna Bianco, semaforo dell’arte. Il curatore della mostra, Giorgio Di Genova, colloca le sue opere accanto a quelle di Sadun, Fontana, Burri, Calderara, Manzoni, Morelli, Maldonado…

“Il recupero dei materiali – annotò Luciana Zingarelli (1984) riferendosi a Capone – che si tratti di lini, carte, o dei recentissimi legni, è qui pienamente nella tradizione del “moderno”: una rivisitazione quasi, ma con occhi consapevoli della cultura contemporanea, della ricchezza linguistica e formale dell’artigianato. Dall’incontro tra queste due matrici – tradizionalmente in conflitto – nasce la “precarietà” strutturale dei sui lavori, la sua apertura a soluzioni nuove”.

Con la carta Capone tende a “creare una congiunzione e una mediazione tra i connotati stilistici del linguaggio pittorico e di quello scultoreo” (Filiberto Menna) dove “i movimenti vitali che segnano la nascita della forma sono scanditi da intervalli minimi, da millimetri di pensieri…”.

“Una ricerca che si colloca al crocevia dei più grandi movimenti artistici contemporanei che però l’artista foggiano ha sempre nutrito con l’humus, i materiali naturali, le texture e i pigmenti del proprio retroterra culturale” (E. Frattarolo).

Nel 1992 un incendio distrugge il suo studio-abitazione, in Corso Vittorio Emanuele II a Foggia.

Parte della sua vecchia e nuova produzione rimane distrutta.

Ma il fuoco non azzera la sua volontà di capire, di pensare, di insegnare, di continuare a fare arte, di essere “quello straordinario pittore a secco in carta” che Enrico Crispolti indica come esempio della vastissima fenomenologia del libro d’artista in Italia negli anni Settanta e Ottanta in un quadro “internazionale che nell’attualità… spazia da Warhol all’ambito di Fluxus, a Lewitt e altrimenti a Kolar” (Enrico Crispolti, in La pittura in Italia, II Novecento/3 Le ultime ricerche, Milano, Electa, 1994).

Gaetano Cristino